La Storia del Caffè Alvino
Un bar che segnava il passo del suo tempo, caratterizzato da una deliziosa vetrina liberty con montanti esili in ghisa, realizzata dalle avveniristiche officine Cantelmo; un capolavoro di eleganza e marketing arredato da un sapiente gioco di specchi che rifletteva e ingrandiva un mondo fatto di alzatine in cristallo ricolme di dolcetti di mandorla di ogni genere.
Da lì a poco, il fruitore si trovava all’interno del bar dove nel bancone in acciaio e il suo retro banco specchiato, si perdeva l’orizzonte degli ospiti tra le delizie delle vetrine prospicienti. Nell’ultima stanza vi erano dei tavolini più riservati, che anticipavano i locali dei pasticcieri.
Anche il logo segnava il tempo di una modernità oggi perduta, con il carattere Italico il giovane futurista Domenico Delle Site realizzò il marchio, stampato in maiuscolo a stampatello su fondo a strisce bianco e celesti.
... Siamo sul finire del ‘800, quando Leonardo Alvino, giovane pasticciere avellinese, si recava a Lecce in occasione della festa del Santo Patrono.
Una piazza Sant’Oronzo, vera, sana e vivace, agorà dell’intero Salento; una città moderna scandita dai sei orologi pubblici sincronizzati del Candido e solcata dalle rotaie di un tram che proiettava la città sul mare.
Un colpo d’occhio per i suoi cittadini e i viaggiatori in un crescendo di odori e colori dove l’accento dei mercanti veneziani si contaminava con il nostro dialetto scritto nell’artigianato locale e narrato nei frutti della nostra terra; una Lecce elegante circondata da teatri e giardini pubblici, scandita dal ritmo perpetuo di un florido commercio e dalle luci di un’aristocratica mondanità, tra il fato e il credo di una città dal cielo terso, sempre avamposto Cristiano.
In questo luogo, il giovane Leonardo Alvino decise di sfidare la sorte e nel 1907 aprì il suo primo bar in un locale in corrispondenza dell’attuale BNL, facente parte di un edificio storico con più botteghe, demolito negli anni’50 con la costruzione dell’attuale fuori scala, anonima costruzione che vivrà solo della luce riflessa delle grandi insegne luminose degli anni ‘70.
Malgrado la presenza del più strutturato bar Sempione, adibito nei locali attualmente occupati dalla farmacia, e dalla presenza nelle vicinanze del Buda Bar, la fortuna fu benevola con Leonardo al punto tale che nel 1911, aprì un secondo bar, l’attuale, riconosciuto come “Alvinu rande” rispetto alla prima sede definita “Alvinu picciccu”.
La scelta non fu dettata solo per far fronte alle nuove esigenze commerciali, ma trova il suo perché nella sensibilità di Leonardo Alvino che seppe leggere l’essenza della piazza in ragione della sua straordinaria luce di un cielo terso... che ancora oggi, scandisce l’ultimo raggio di sole... all’ombra di Sant’Oronzo.
Leonardo Alvino ebbe tre figli: Ernesto, fine intellettuale, Giuseppe, abile commerciante che continuò alla morte del padre l’attività del bar, e, infine, Alberto, insegnante.
E proprio alla visione di Don Ernesto e alla sagacia di suo fratello Pippi si devono le pagine di storia più importanti tra gli anni ‘50 e ‘70 a Lecce e non solo.
Ernesto Alvino, classe 1901, fu tra i primi ad aderire a quella generazione definita futurista a cui Marinetti diede i natali; partecipò giovanissimo alla marcia su Roma del 1922 insieme ad un nutrito gruppo di giovani leccesi. Al rientro, la loro sede di via Degli Angeli fu sostituita con nuovo circolo in via Palmieri; un vero colpo di mano ad opera del commendatore Marangi espressione di una ricca borghesia che cavalcava gli ideali del fascismo per i propri fini, in netta contrapposizione con gli ideali dei giovani progressisti. Una rivalità che trova riscontro nei saggi del promettente Ernesto, dove ridicolizzava il servilismo di Starace e la corruzione della buona borghesia al punto tale che fu definito antifascista.
Cacciato dal partito fondò il “Vecchio e il nuovo” e “La vedetta del Mediterraneo”, due testate di avanguardia dove trovarono sponda numerosi esponenti della cultura del tempo, Bodini e Pagano.
Nell’immediato dopo guerra, alla morte di Leonardo Alvino, il figlio Giuseppe interpretò al meglio l’arte pasticcera ereditata dal padre e l’esigenze di una Lecce già proiettate nel boom economico della nazione; nello stesso tempo, l’altro figli Ernesto, trasformò lo storico bar del padre nel salotto culturale della città, posizionato la redazione del suo nuovo giornale “La voce del Sud” sopra il bar di famiglia, in un dentro e fuori con la piazza e la città, caratterizzato dal lungo balcone che domina piazza Sant’Oronzo.
Ben presto gli Alvino divennero una vera fucina dei saperi e dei valori; nei laboratori di pasticcieria, con accesso dall’attuale via Di Biccari, si formavano tutti coloro che diventeranno negli anni a seguire i pasticcieri più bravi della città; dall’altra Ernesto fondò la libreria Stelio, in ricordo del giovane figlio precocemente perso.
Un luogo magico tra cultura, politica, “culacchie” e caffè, dove Oronzo Massari, Ennio Bonea, Diana Volpe (prima consigliera donna del Comune di Lecce), oltre ai già citati Bodini, Pagano e Delle Site erano tra i più assidui frequentatori... “settati alla chiazza, dra fore all’Alvino”.
Erano gli anni della dolce vita, dove olive, mandorle salate e i primi aperitivi, rappresentavano la trasgressione delle nuove generazioni e lo storico cameriere dall’occhio guercio, Antonio Verratte, serviva i tavoli e sbirciava tra gli specchi il decolté riflesso della prosperosa gioventù leccese.
La piazza recitava il suo ruolo di agorà dove il lunedì e il venerdì scandiva il tempo dei compratori della provincia, in un via vai frenetico tra la banca del Salento e l’Upim.
Malgrado il proliferare di altri bar come il Bar della Borsa, il Cin Cin Bar, l’Alvino rimaneva sempre l’Alvino con i suoi caffè in ghiaccio consumato sul gradino d’ingresso dai papabili della città, mentre i più giovani si intrattenevano sulla balaustra dell’Anfiteatro.
.... nel maggio 2007 l’Alvino e i suoi locali furono acquistati dalla migliore offerta .... sofferta dai più, vittime compiacenti in una piccola città borghese incapace di proteggere la propria identità.
La sua storia, la nostra identità, veniva svenduta in un’asta giudiziaria che poneva fine ad un lento declino che si portava dietro la piazza e la città. Il McDonald’s e il suo essere globale anticipava l’attuale tempo del vivere il virtuale dalle mille identità, senza averne una propria.
Oggi, quei locali raccontano l’operosità di un’altra proprietà, il brand di una nuova azienda che non ha riconosciuto in quel luogo magico il valore identitario di una comunità.
Per questa ragione, nel 2012, nel concorso internazionale di Lecce Capitale Europea della Cultura 2019, ho riposto l’essenza perduta da far conoscere all’Europa: Sant’Oronzo, la sua ombra, la nostra storia …
Solo oggi, trovo il coraggio di scrivere ciò che pensavo nel maggio 2007, quando l’azienda De Luca di Casarano, svuotava l’Alvino che continua a scandire l’ultimo raggio di sole... all’ombra di Sant’Oronzo :
Quello che non fece nu cozzaru de Bari e nu poppetu de paise, lo facemmo noi, una pigra comunità rinnegata.
Nb: la citazione dialettale non vuole offendere la dignità di chi oggi lavora ma racconta la forza di una coscienza popolare
Riflessione di Edoardo Micati